Il conflitto Russia-Ucraina si riverbera sul quadro economico europeo e, più in generale, mondiale. Al momento l’impatto della crisi sull’economia italiana e lombarda è estremamente difficile da quantificare: la durata e gli esiti del conflitto rimangono incerti, gli effetti delle sanzioni economiche e finanziarie sono in continua evoluzione, i prezzi medi di molte materie prime si muovono con estrema volatilità, nuove tensioni logistiche intralciano le catene globali di approvvigionamento.
Il dato certo è che questo scenario mette a rischio il quadro di recupero della Lombardia e si inserisce dopo un 2021 di forte rimbalzo (+6,6% il PIL) e di grande competitività dimostrata dalle imprese del territorio, in particolare quelle industriali, che nell’anno da poco concluso hanno messo a segno un nuovo record di export, con 136 miliardi di vendite sui mercati internazionali nonostante la pandemia.
Le nostre previsioni di gennaio scorso, quindi prima dell’inizio della guerra, stimavano un tasso di crescita del PIL lombardo del +4,0% per il 2022 che avrebbe permesso di risalire pienamente sopra i livelli 2019, colmando il divario del -2,9% rispetto al pre Covid ancora aperto a fine 2021. Verosimilmente questa stima sarà tagliata, rallentando pertanto l’entità e i tempi della ripresa post-pandemica.
I canali di trasmissione sull’economia reale sono principalmente quattro: gli scambi commerciali con i Paesi interessati dal conflitto, lo shock sui prezzi delle materie prime energetiche e non, l’incertezza per imprese e famiglie, nonché il contagio finanziario. Innanzitutto, c’è un tema di relazioni commerciali dirette. A livello aggregato l’impatto è limitato lato export: la Russia vale l’1,6% dell’export totale annuo lombardo e l’Ucraina un aggiuntivo 0,4%. Tuttavia, le vulnerabilità sono assai differenti tra settori, con le esposizioni maggiori negli ambiti di punta dell’export lombardo: meccanica (2,7% l’incidenza del mercato russo sul totale vendite settoriali regionali), moda (2,4%) e chimica (2,1%). Al pari, emergono distanze non trascurabili tra territori, distanze che discendono dalle specializzazioni locali. Ai due estremi in Lombardia si posizionano Milano (2,1% l’export verso la Russia sul totale provinciale) e Lodi (0,4%). Va comunque considerato che questi dati medi possono nascondere esposizioni ben più rilevanti a livello aziendale e che numerose sono le multinazionali italiane presenti in Russia (660) e Ucraina (80).
Sempre considerando gli scambi commerciali, si stanno dimostrando in particolare modo significative le conseguenze sul fronte delle forniture, sia in termini di disponibilità (rallentano i tempi degli approvvigionamenti) sia per il nuovo shock impresso ai prezzi medi delle materie prime, già fortemente sollecitati dai rincari nel corso della ripresa post pandemia. C’è poi l’elemento di trasmissione rappresentato dell’incertezza, una variabile tanto faticosa da prevedere e quantificare, quanto insidiosa nell’influenzare i piani di investimento delle imprese (tra le componenti più dinamiche del recupero di PIL messo a segno l’anno scorso) così come le decisioni di spesa delle famiglie. In ultimo, resta aperto il canale finanziario: dal crollo del rublo alla crisi delle banche russe, all’impatto sul sistema a livello internazionale, …
Il complesso scenario attuale si inserisce su una situazione ancora deficitaria del mercato del lavoro. A fine 2021, infatti, emerge un’inversione rispetto al 2020, con un ritorno alla crescita del numero di occupati (+17 mila unità, con un contributo positivo della sola componente femminile) e una riduzione degli inattivi (-65 mila unità), ma il quadro rispetto a prima della pandemia permane ampiamente negativo. Infatti, si contano ancora 119 mila occupati in meno nel 2021 rispetto al 2019, 6 mila disoccupati aggiuntivi, 105 mila inattivi in più. A livello di macro settori, tornano sopra al pre Covid costruzioni (+25 mila occupati) e agricoltura (+1 1mila), ma sono ancora ampiamente sotto altri servizi (-84 mila), industria (-42 mila) e commercio, alberghi e ristorazione (-30 mila). Inoltre, il gap occupazionale 2021 sul 2019 in termini percentuali è del -2,7% in Lombardia, ben più di quanto rilevato in Emilia-Romagna (-2,3%) e Piemonte (-2,5%), sebbene meno del Veneto (-3,4%). Questo è quanto emerge dal Booklet Economia n.63 pubblicato da Assolombarda a marzo 2022.